Come sei entrato in contatto con i Guelfi, e come sei diventato il primo allenatore americano della storia dei Guelfi?
Il mio rapporto con il football a Firenze ha radici lontane, essendo stato io assistente allenatore anche ai tempi degli Apaches, che ho allenato a fasi alterne fra il 1990 ed il 1994, quando svolsi il ruolo di Difensive Coordinator. Quando sono diventato direttore della Harding University a Firenze, mai avrei pensato di tornare ad allenare una squadra di football americano, ma dopo la fondazione dei Guelfi nel Gennaio del 2000, molti miei vecchi giocatori, fra cui lo Zio, Bocci, ed altri, mi chiesero di andare ad aiutarli ad allenare la squadra, quindi nei primi anni davo una mano ai Guelfi, fino alla finale giocata al Franchi di Firenze, che fu il primo trofeo dalla fondazione. In quegli anni aiutavo i Guelfi quando potevo, però fra lavoro ed altro non potevo essere sempre presente, soprattutto per le partite in trasferte. Il mio aiuto era un aiuto più in generale, ed ho sempre cercato di aiutare il più possibile la società nel mio piccolo, come ad esempio quando ho fatto conoscere il console americano a Firenze, oppure i primi anni quando prestavo il mio pulmino alla squadra per andare in trasferta.
Se pensi ai primi anni dei Guelfi, ed ai tuoi anni come allenatore, quali sono i ricordi più belli che hai?
Sicuramente la finale al Franchi è un bel ricordo, per la partita in se, per i moltissimi tifosi che sono venuti a vederci e sostenerci, e mi ricordo anche che con Giani, allora fumammo insieme un sigaro dopo la vittoria, una classica tradizione americana; se penso a quegli anni però, e questa è una cosa che ci tengo a precisare, il ricordo più bello che ho è quel senso di famiglia e di gruppo di amici che si è creato in quegli anni: noi tutti ci vogliamo veramente bene e quando penso al nostro rapporto mi viene in mente il libro “Playing for Pizza”, perchè alcune situazioni che si possono trovare nel libro io le ho proprio vissute, prima negli Apaches e poi nei primi anni dei Guelfi. Tuttora se vengo allo stadio per la partita dei Guelfi, è come se tornassi indietro nel tempo, perché i rapporti con i miei vecchi giocatori, ora per gran parte allenatori, sono sempre stupendi, ed è la cosa più bella che mi è rimasta dei miei anni come allenatore di football in Italia insieme all’amore per lo sport che ho visto nei giocatori italiani: chi gioca nei guelfi lo fa perché ama il football, perché ama la città di Firenze, il gruppo che si è creato e non per una semplice questione di guadagno e di soldi
Cosa si prova ad aver visto crescere così tanto il movimento football a Firenze?
Penso che solamente a livello di strutture è stato fatto un passo in avanti impressionante: quello che è oggi il Guelfi Sport Center per noi era solamente un sogno, anche quando a Firenze le squadre di football erano addirittura due, con i Renegades e gli Apaches; credo che anche la finale giocata al Franchi, davanti a così tante persone, sia stata uno dei primi “mattoncini” posti per la futura creazione del GSC, la casa dei Guelfi. Mi ricordo che andavamo fino a Calenzano ad allenarci ai tempi degli Apaches, poiché non c’erano spazi e strutture per noi, ma ricordo che anche quelle situazioni ci hanno amalgamato come gruppo.
Secondo te quindi, cosa manca ai Guelfi per l’ultimo passo in avanti?
É difficile da dire, perché non sono così “dentro” alla squadra per poterlo dire, ma penso che come sempre tutto giri intorno al lato finanziario: se ci fosse maggiore disponibilità economica, magari grazie a qualche altro sponsor o a qualche altro investitore, i Guelfi e tutto il football italiano ne gioverebbero, am sono sicuro che la strada intrapresa è quella giusta e le cose possono solamente migliorare