Come hai iniziato a giocare a football, e quando sei arrivato ai Guelfi?
Ho iniziato a giocare a football a 17 anni, con gli allora Apaches Firenze; ai tempi non era così importante la comunicazione, ed erano pochi i giovani che volevano giocare a football, quindi i numeri erano quello che erano e c’era un discreto gap a livello di età fra noi giovani ed i giocatori della prima squadra, che invece magari era già dieci anni che giocavano. L’ambiente però era bellissimo e noi eravamo quasi “coccolati” dai ragazzi più grandi, che vedevo in noi il futuro del football fiorentino.
Prima di giocare coi Guelfi ci furono tre campionati che giocammo con i Renegades ed a giro per la Toscana, e poi nel 2000 ci fu la fondazione dei Guelfi, e facendo ormai parte della “vecchia guardia” io iniziai subito a giocare per i Guelfi. Ho continuato a giocare poi fino al 2006, quando ci fu l’interruzione del campionato per una querele con una partita non giocata ed un ricorso e quindi noi Guelfi ci ritrovammo penalizzati per un incidente burocratico che ci tagliò fuori. Io alla fine della stagione mi son poi trasferito in Asia, dove vivo tutt’ora, quindi quello fu il mio ultimo anno come giocatore.
Pensando agli anni giocati con i Guelfi, quali sono i ricordi più belli che hai?
I ricordi son tanti, soprattutto avendo la fortuna di giocare con veri e propri amici, e quindi ti dico che il ricordo più bello è l’amicizia ed il fortissimo legame che ci accomunava: eravamo una vera e propria famiglia; molte volte ce lo siamo detti anche con gli altri ragazzi, anche perché a livello di talento no eravamo sicuramente i più forti, ma con un legame ed un’amicizia come la nostra, che solo chi gioca insieme per tanti anni come noi può raggiungere, molto spesso il talento passa in secondo piano. Mi viene in mente ad esempio il fatto che su ogni kickoff io mi ritrovavo accanto a Pippo Martelli, e prima di ogni kickoff ci guardavamo, ci abbracciavamo e ci preparavamo per andare a placcare il returner, ed il pensiero di avere accanto a me un fratello era la cosa più bella di tutte.
Parlando invece di giocatori, c’è qualcuno che spicca sugli altri per bravura e talento?
A livello puramente di talento ti dico Giuliano Belli, era un ricevitore fenomenale, aveva un cambio di passo ed un modo di giocare a football molto particolare, ed era veramente di un’altra categoria. Lui veniva dagli Etruschi e quando venne a giocare con noi fu un vero sollievo non doverci più giocare contro. Un altro giocatore fenomenale era Gianluca Mannatrizio, mio candissimo amico e mio compagno “di macchina” dato che andavamo insieme sempre agli allenamenti; io e lui iniziammo insieme nel 1990 e lui è stato uno dei giocatori italiani più forti di sempre: non aveva paura del contatto, dava sempre il cento per cento ed è stato uno dei WR italiani più letali di sempre. Non posso dirti nemmeno un giocatore della difesa perché dire un nome rispetto ad un altro sarebbe impossibile, perché eravamo una difesa veramente fortissima, cresciuta insieme e quindi è impossible trovare un nome che spicca.
In Asia, hai trovato appassionati di football, hai continuato magari a giocare lì?
Qui il football lo conoscono perché ci sono alcuni espatriati americani che lo seguono, ma è più un’occasione per ritrovarsi con gli amici magari, tutti insieme a vedere la partita, che magari ritrovarsi per giocare e soprattutto non fanno proseliti per convincere i locali a guardare e magari ad appassionarsi al football: chi lo segue è perché già lo conosceva e già era un appassionato.
In Indonesia poi non sono tradizionalmente una nazione “sportiva”, mentre qualche anno fa quando stavo a Singapore ho provato col ministero dello sport a fare qualcosa ma non se ne fece di nulla; purtroppo non hanno la cultura sportiva.
Ed i Guelfi invece, hai continuato a guardarli anche dall’Asia?
All’inizio, i primi anni, non essendoci ancora un uso dei social come invece è stato poi dopo, le notizie arrivavano principalmente dai giocatori stessi, oppure dal sito dei Guelfi. Via via poi grazie alla tecnologia è migliorato tutto, prima con gli highlights del “Maestro” Ciani, poi addirittura con la possibilità di godermi in diretta l’Italian Bowl contro i Seamen del 2019, una cosa impensabile fino a qualche anno fa.
Pensandola un attimo da esterno, cosa manca secondo te ai Guelfi ed al football italiano in generale, per alzare il livello?
Sicuramente da quando giocavo io, il livello si è alzato, e non di poco, sia a livello di infrastrutture che di possibilità di migliorarsi per i giocatori stessi, quindi penso che adesso si dovrebbe lavorare sulla mentalità dei ragazzi, su quella che in America chiamano accountability; tutti hanno i loro impegni, siano essi di lavoro, scuola, famiglia od altro, e nessuno ha tempo di allenarsi quanto vorrebbe, però si deve arrivare al pensiero collettivo di “do tutto quello che posso dare”, in ogni ripetizione, in ogni azione, in ogni momento in palestra, ed invece i problemi son sempre gli stessi penso, come magari il ritrovarsi in pochi agli allenamenti, il saltare gli allenamenti ecc. In NFL ci sono le multe e le penalties, infattibili in Italia, ma si dovrebbe trovare una soluzione per questo, per poter incentivare tutti a dare il 1000% per la squadra e per i propri fratelli.