Come sei entrato nel mondo del football e come sei arrivato poi ai Guelfi?
Ho iniziato a giocare a football nel 1985, perché un paio di miei compagni di classe avevano iniziato a giocare a football, ed io che già giocavo a rugby nel CUS Firenze iniziai a fare gli allenamenti di entrambi gli sport perché mi aveva sempre incuriosito il football, sopratutto vederlo in televisione, quindi piano piano poi abbandonai il rugby e mi iniziai a dedicare completamente al football americano. Iniziai a giocare negli Apaches, poi ci fu la scissione coni Renegades, feci anche un anno a Lucca salvo poi tornare a Firenze nei Renegades e poi nel 97 mi ritirai dopo un incidente stradale. Dopo il ritirarono stato quattro anni completamente senza football fino a quando nel 2001 i Guelfi, al loro secondo anno di vita mi contattarono per fare l’allenatore della difesa.
Quindi anche te, come Alberto (Puliti ndr) sei arrivato ai Guelfi come membro del coaching staff nei Guelfi; avevi già avuto esperienze come allenatore?
No, mai allenato giovanili o altro fino a quel momento; probabilmente fui chiamato più per amicizia e conoscenza che per altro. Anche quando giocavo ero sempre stato appassionato di regolamento, di tattica e tecniche di gioco, quindi probabilmente la mia conoscenza del football e le mie conoscenze nei Guelfi sono stati i motivi per cui mi chiamarono.
Soprattutto per lavoro poi dal 2009 al 2015 c’è stato un’interruzione della mia carriera come allenatore però poi nel 2015, primo anno di prima divisione dei Guelfi, la società mi richiamò per tornare ad allenare, come Defensive coordinator e quella fu una chiamata che mi riempì di orgoglio e fu una bellissima soddisfazione. Quel campionato poi fu molto soddisfacente perché chiudemmo la regular season come miglior difesa già al primo anno di prima divisione.
Oltre alla difesa ti sei dedicato spesso anche agli special teams, da dove nasce questa piccola passione?
I primi anni di Guelfi non li seguivo tanto, poi dopo dal 2015, grazie anche alle letture ed agli studi proprio sugli specialisti che avevo fatto negli anni in cui non allenato mi sono iniziato a dedicare molto di più agi specialisti; il percorso che abbiamo fatto con Simone Petrucci è pazzesco e vedevo che tutte le cose che avevo studiato e che provavo a mettere in pratica riuscivano e siamo arrivati quasi alla perfezione per quanto riguarda i kickoff ed i field goal e questo percorso è poi continuato con Camorani, che è il kicker odierno dei Guelfi, mentre per i punt, che sono una materia molto diversa e che richiede tutt’altra tecnica ancora c’è un pò di lavoro da fare con i nuovi arrivati, nonostante le premesse nei pochi allenamenti che siamo riusciti a fare siano molto buone.
Guardando ai tuoi trascorsi con i Guelfi quali sono i momenti più belli che ricordi?
Sicuramente le due finali vinte nel 2003 e nel 2005 e poi sicuramente ci metto il primo anno in prima divisione sia per il fatto che mi avevano richiamato per allenare la difesa, sia soprattutto per come è andata, con i Guelfi che hanno chiuso come miglior difesa, stupendo tutta Italia, nonostante poi sia finita al primo turno dei playoff contro i Panthers Parma. Un altro bellissimo ricordo è sicuramente l’anno con Art Briles in panchina, quando siamo arrivati a giocare il Super Bowl e soprattutto abbiamo passato un anno con una leggenda del football come lui.
C’è un giocatore di cui sei veramente fiero della crescita e del percorso che ha avuto e he soprattutto prenderesti per far fare il salto di qualità ai Guelfi?
Probabilmente saremo ripetitivi, ma ti dico Andrea Benoni; vedere il suo percorso da quando ha iniziato ad allenarsi in prima squadra fino al campionato di prima divisione giocato nel 2015 è una soddisfazione ed una bellezza vederlo giocare; rimango nel rammarico che forse ha smesso un pò troppo presto e sicuramente lo riprenderei al volo: ti dico solo che è il giocatore che avrebbe preso Art Briles due anni fa per il salto di qualità quindi penso che abbia già detto tutto.
Secondo te quindi cosa è la cosa più importante che deve avere un giocatore in Italia per giocare?
La passione e lo spirito di sacrificio. È uno sport che richiede un sacco di tempo per poterlo fare bene, sia per allenarsi in campo sai magari in palestra; devi iniziare a convivere con tutta una serie di piccoli infortuni che devi poi superare perché il campionato è breve e se magari per un piccolo infortunio salti un paio di partite poi ti sei già giocato l’anno e devi aspettare altri 9 mesi per poi rigiocare.
Cosa manca quindi al football nostrano per migliorarsi ancora di più?
È difficile dirlo perché comunque il football americano è uno sport particolare per quanto riguarda l’talia non essendo ancora conosciuto e di nicchia, ma penso che il problema non sia i football americano in generale ma lo siano gli italiani, che seguono principalmente il calcio e si riscoprono appassionati di altri sport solamente ogni quattro anni in quei venticinque giorni delle olimpiadi.
Un saluto a tutta la Guelfi Family!